Retorica è memoria priva di conoscenza; retorica è informare senza sapere; retorica è appropriazione di storie che appartengono ad altri; retorica è un letto di marmo per la storia; retorica è chiedere ai vivi perdono per conto dei morti; retorica è lacrima senza dolore; retorica è pioggia di sabbia sulle ossa degli altri; retorica è il composto ingresso nella sterminata landa della dimenticanza. Gli anniversari fanno male se usati una volta l’anno per celebrare noi stessi e sono invece necessari se costruiscono dolorose appartenenze che durano tutta la vita. Troppo profondo è quel lutto per poter essere rinchiuso nella parentesi di 24 ore, mentre prima e dopo assistiamo, sdegnati e lontani, a quanto avviene nei campi di neve della Bosnia. Quando saranno venuti meno tutti i reduci dagli inferni dell’Europa centrale, come potrà la nostra generazione rispettare la dignità loro e di tutti gli altri se non abbandoniamo oggi la saponosa melassa della retorica? Racconta Etgar Keret. “Quan’ero bambino mi portarono in un Museo dell’Olocausto: quella cifra, sei milioni di morti mi ha lasciato pietrificato, scioccato, ma non mi ha intristito, non mi ha fatto piangere. Invece ho pianto quando mia madre mi ha raccontato che da bambina, nel ghetto di Varsavia, riuscì a rubare un pezzo di pane. Decise di non mangiarlo subito perché voleva annusarlo, immaginare che sensazione avrebbe avuto assaggiandolo; ma poi è arrivato un topo o un gatto, non ricordo bene, e glielo ha portato via. Ecco, quello era qualcosa che potevo capire.”.