La Fondazione Ansaldo conserva un importante patrimonio di testimonianze sui temi delle donne, del lavoro e dell’emancipazione femminile. Tra i numerosi documenti di particolare rilevanza quelli relativi alle lotte per l’ottenimento di diritti e pari opportunità. Sono diversi i progetti che la Fondazione ha dedicato nell’ultimo anno a questi temi: la realizzazione del calendario 2020, incentrato sul ruolo delle donne in fabbrica; la partecipazione a “La notte degli archivi”, nel corso della quale gli archivi italiani hanno celebrato i traguardi delle donne, di cui la storia è disseminata, e dato testimonianza dell’importanza dei processi di trasformazione e cambiamento che in tanti ambiti esse hanno attivato; l’allestimento della mostra “#Women”, presso la sede Leonardo di Genova (visitabile on-line sul sito della Fondazione).
Il territorio genovese, a forte concentrazione industriale, vide la presenza delle donne nelle fabbriche emergere con evidenza tra Ottocento e Novecento: molte industrie e manifatture impiegavano manodopera femminile, a cominciare da quelle più grandi e antiche, come la Manifattura Tabacchi, attiva a Sestri Ponente sin dalla metà del Settecento, e il Cotonificio Ligure di Cornigliano, impiantato sulla marina nel 1868.
L’ingresso delle donne in contesti lavorativi considerati prettamente maschili, in particolar modo nel mondo operaio, è stato assai arduo e contrastato nonostante le urgenti necessità generate dal primo conflitto mondiale – si calcola che nella sola industria bellica ne vennero impiegate oltre 180.000. Fu in quegli anni che oltre ai ruoli considerati tipicamente femminili – infermiere, crocerossine, dame di carità o educatrici – le donne cominciarono a lavorare come autiste di tram o bigliettaie, postine e spazzine, garantendo così la sopravvivenza della società civile e dei suoi valori. Contemporaneamente, fecero il loro ingresso in fabbrica le prime operaie.
Le testimonianze di Fondazione Ansaldo ci raccontano di condizioni di lavoro faticose e di una presenza femminile spesso percepita – specialmente dagli operai più anziani – come un sovvertimento dell’ordine naturale, se non un vero e proprio “attentato alla moralità”. Talvolta le nuove assunte venivano accusate di favoritismi da parte dei capi uomini. Nelle numerose lettere di protesta indirizzate dal personale ai dirigenti delle fabbriche, le donne erano descritte come profittatrici, interessate al lusso e a sfruttare la loro nuova condizione sociale ed economica.