Le cose che ci sono da sempre – come Antigone che esiste da sempre – non sono accadute eppure abitano la storia e operano, a tutti gli effetti, nel divenire della comunità.
C’è appunto un motivo se le tragedie greche possono essere rappresentate in abiti a noi contemporanei. Lo sottolinea Luciano Violante nel suo libro Insegna Creonte (editrice Il Mulino) con un esempio, tra tanti, quello della tragicità di Bobby Sands.
Il simbolo dell’indipendentismo irlandese – un capitolo a noi vicino dello scontro tra il potere e la coscienza – altro non è che una moderna trasfigurazione di Antigone laddove Margaret Thatcher che lo tiene in prigione fino ad attenderne il suicidio è Creonte.
L’altra faccia del potere è l’errore. E viceversa. L’Antigone di Sofocle è, appunto, la tragedia del potere che si autodistrugge. Pur difendendo un principio giusto – garantire l’ordine a Tebe – Creonte precipita nell’errore. Incarna l’illusione di un’onnipotenza. E Violante, alla luce della sua esperienza di giurista, di politico e di intellettuale impegnato nella costruzione della città contemporanea in questo suo saggio rilegge il mito del re tebano per farne l’emblema di un’arroganza che è archetipo.
In forza della sua stessa prepotenza da cui derivano altri due fatali inciampi nell’esercizio del governo – quello di aprire un conflitto che non si è in grado di chiudere e, infine, il confidare esclusivamente nelle proprie capacità – Creonte che tutto ha sbagliato è, oggi, un insegnamento.
Per suicidio politico si dissolvono le epoche, e così le fortezze un tempo ritenute inespugnabili: sia quelle dei regimi, sia delle democrazie. Non ci sono modelli da seguire al modo di istruzioni per l’uso, bensì soltanto esperienze: “la casa dell’errore” – scrive Violante – “ha pareti di bronzo risonante sussurri di non sicura fonte”.
Quel che promana dal potere, perfino quando è “coerenza di comportamenti”, giammai è utopia, piuttosto un concreto esercizio delle responsabilità.
La moneta della realtà s’impone in un conio di due facce: “leader volgari hanno fatto crescere la volgarità complessiva della nazione”.
La piazza politica non è mai un’accademia e l’errore che è il punto di caduta di qualunque progetto di governo allo stesso tempo reclama un ripristino di verità cui concorre la decisione politica. “Chi chiederà mai al presidente George W. Bush” – si domanda Violante – “il conto per i 130.000 civili uccisi nella seconda guerra del Golfo, nata dalla falsa notizia che Saddam Hussein possedesse armi di distruzioni di massa?”.