“Con il suo discorso, Mario Draghi ha offerto al Parlamento e all’Italia intera non soltanto un programma di governo ma una visione strategica di lunga gittata. Ciò che mi ha colpito maggiormente? Il passaggio sugli Istituti tecnici e sulla necessità di una transizione culturale che muova dal nostro patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale”.
Ecco le considerazioni di Luciano Violante, presidente della Fondazione Leonardo - Civiltà delle Macchine nonché presidente emerito della Camera dei Deputati, circa l’intervento rivolto al Senato dal presidente del Consiglio incaricato, “ferma restando la prudenza rispetto a come potrebbero comportarsi i partiti”.
Perché assegnare tanto valore agli istituti tecnici?
Questo richiamo è l’elemento più innovativo del discorso di Draghi. Ed è di fondamentale importanza perché ci ricorda che è grazie alla sua formidabile competenza tecnica che l’Italia è riuscita nella ricostruzione post bellica. Chi ha una certa età e buona memoria, ricorda bene l’esperienza di Radio Elettra con il suo sistema di scuola a distanza per quelli che un tempo erano elettrotecnici e oggi sono anche operatori del digitale. Io sono convinto che la nostra Nazione sia capace di formare e tramandare ottime qualità a livello molto alto, ma abbiamo enormi carenze a livello delle conoscenze intermedie. E qui s’inserisce il profondo significato del passaggio di Draghi sugli istituti, che personalmente avrei la piccola ambizione o speranza di veder chiamati “Licei” come il Classico o lo Scientifico.
Nobilitare la tecnica e il suo insegnamento…
La tecnica e i suoi insegnanti. Quando un ragazzo ha 13 anni, la scelta della sua scuola superiore la fanno i genitori influenzati anche dalla dignità percepita dell’istruzione offerta. Se esiste il Liceo Coreutico dovrebbe esistere anche il Liceo Tecnologico. Noi come Fondazione Leonardo stiamo facendo la nostra parte, come dimostra il progetto di formazione sulla cyber security condiviso con l’Enciclopedia Treccani, cui accedono appunto gli insegnanti degli istituti tecnici.
Draghi ha citato anche le altre transizioni necessarie al nostro tempo: quella digitale, quella ambientale e quella energetica. L’Italia in che condizioni è per affrontare tali trasformazioni?
L’Italia sarà pronta a patto che si comprenda che la transizione energetico-ambientale-tecnologica è un processo di civiltà unitario che interviene sui modelli di sviluppo e sui modi di vita. E affinché questa transizione avvenga in modo efficace occorre privilegiare l’etica della persuasione rispetto a quella dell’imposizione.
Per esempio incentivando, più che punirle con nuove tasse, le imprese legate ai modelli analogici e alle energie fossili?
Mi sembra che Draghi abbia intenzione di muoversi in questa direzione, nel suo piano di riformulazione fiscale. Aggiungo: non c’è politica ambientale senza un modello energetico di riferimento, e al tempo stesso è molto complicato concentrare le competenze amministrative in un solo ministero, come quello assegnato al Professor Cingolani. Certi problemi, dalle voci di spesa alla destinazione del personale, hanno bisogno di tempo per essere dipanati e non si risolvono con un tratto di penna.
Il nuovo premier si sta muovendo anche in discontinuità rispetto al precedente governo di Giuseppe Conte?
Non proprio. Questo non è tanto il terzo governo quanto il secondo tempo della legislatura. Nel primo tempo, ritengo che Conte abbia fatto bene. Il suo è stato un governo prevalentemente di amministrazione, questo di Draghi è un governo più politico con una visione profonda del futuro. E una prospettiva forse più nitida, perché la maggioranza di Conte è stata investita da una pandemia spaventosa di cui era impossibile prendere le misure con esattezza; basti pensare agli errori commessi da leader mondiali come Trump e Bolsonaro o alle oscillazioni dell’Oms. Ora la situazione è più matura, sappiamo di fronte a cosa ci troviamo e avremo meno incertezze.
Quello di Draghi è sembrato più un discorso costituente d’inizio legislatura, che non la base per un governo di fine legislatura nato nello stato d’eccezione pandemico.
E’ il discorso del capo di un ‘governo della Costituzione’, così come l’ho definito recentemente su Repubblica. A differenza dei governi di Lamberto Dini (1995) e di Mario Monti (2012), che erano definibili “governi del presidente della Repubblica” nati in un clima di emergenza nazionale, quello di Draghi è un esecutivo nato direttamente dai poteri che la Costituzione attribuisce al presidente del Consiglio dei ministri, la cui formazione ha seguìto una procedura tutta interna alla Costituzione. Il presidente del Consiglio ha indicato i propri ministri in autonomia, poi questa scelta è stata caricata sulle spalle dei partiti.