La formazione del governo Draghi presenta diverse novità, tutte di un certo rilievo. La prima riguarda il Quirinale. Dopo la fallita esplorazione del presidente della Camera Roberto Fico, il 2 febbraio Sergio Mattarella esclude per il momento il ricorso a elezioni anticipate e rivolge un appello a tutte le forze politiche perché conferiscano la fiducia a un governo “di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Come dire: è il Parlamento che concede la fiducia al governo, ma sarò io in assoluta solitudine, senza ulteriori consultazioni, a decidere a chi affidarne l’incarico. E appena il giorno dopo, 3 febbraio, l’inquilino del Quirinale fa uscire Mario Draghi dal proprio cilindro. Come Giove partorì Minerva dalla propria testa.
Abbiamo non solo un governo del Presidente, come sono stati i ministeri Pella, Tambroni, Ciampi, Dini, Monti. Ma ci ritroviamo in sostanza un potere esecutivo bicefalo come l’aquila bicipite. Con due teste: quella di Mattarella e quella di Draghi. Come accade nella Francia della Quinta Repubblica. La fisarmonica del Colle, per usare la bella espressione di Giuliano Amato, si è dilatata a dismisura non a caso. Perché questi sono tempi eccezionali e Mattarella si è visto costretto a indossare i panni del presidente interventista suo malgrado. Facendo violenza alla propria indole.
La seconda novità concerne la Costituzione. Dopo tempo immemorabile si è registrato un ritorno alla lettera e allo spirito della Legge fondamentale della Repubblica. Una eco, ma con tutt’altro spirito, del Torniamo allo Statuto di Sidney Sonnino, pubblicato sulla Nuova Antologia del 1° gennaio 1897. Non era scontato, dopo che nel corso dell’esplorazione di Fico i partiti pretesero di fare tutto da soli: programma e squadra di governo. Con tanti saluti al prossimo presidente incaricato, fosse Giuseppe Conte o qualsiasi altro. Per una volta tanto è stato fatto cantare a dovere il famoso articolo 92, finora violato più della vecchia di Voltaire. Che recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. Così come di sicuro Draghi si avvarrà del successivo articolo 95. Sarà lui a dirigere la politica generale del governo senza essere comandato a bacchetta, come un qualsiasi re Travicello, da Sua Maestà la Partitocrazia.